Piazze in delirio a Baires per la vittoria di Milei su Massa. L’Argentina sceglie l’estrema destra
Quasi un salto nel buio. In Argentina vince Javier Milei e torna al potere l’estrema destra. Cinquantatré anni, economista, Milei batte con largo e inatteso margine (56-44%) Sergio Massa, l’attuale Ministro dell’Economia dell’Esecutivo Fernandez. Alla luce dei risultati della prima tornata di ottobre (quasi 37 contro 30% a favore di Massa) poteva starci un ballottaggio dall’esito incerto. Così non è stato e, a ben vedere, è risultata determinante la scelta di Mauricio Macrì. L’ex Presidente decideva sin da subito, nonostante paventasse una svolta autoritaria nel Paese, di convogliare il quasi 24% ottenuto dalla sua coalizione “Juntos por el cambio”, verso “La Libertad Avanza”, il partito ultraliberista di Javier Milei. L’anarco-capitalista, così ama definirsi il neo Presidente, si insedierà alla Casa Rosada della capitale Buenos Aires il prossimo 10 dicembre.
Quando saranno esattamente quarant’anni dalla fine della dittatura civico-militare, iniziata con il colpo di Stato del 24 marzo 1976 e finita quando il Paese era ormai allo stremo dopo la sconfitta subita nella guerra delle Falkland contro gli Inglesi. “È una notte storica, urla Milei appena eletto, da cui parte un modo nuovo di fare politica che ripudia il modello delle caste”. Massa ammette la sconfitta, ancor prima che finisca lo spoglio dei voti e dichiara “Certo che si poteva perdere, ma un tale scarto finale tra gli schieramenti era alquanto impensabile”. Giunge immediato il commento da parte dell’ex Presidente USA Donald Trump che si dice fiero dell’amico Javier. E non si fa attendere la dichiarazione di Jair Bolsonaro che si dice sicuro che dall’elezione di Milei possano rinverdire le speranze dell’America Latina. Un’ampia disponibilità per poter lavorare insieme, seppure con evidenti divergenze politiche, arriva pure dal Presidente brasiliano Lula, che augura buona fortuna al governo nascente. La cui sorte, aggiungiamo, dipende in buona parte proprio dalle prossime mosse e di Macrì. Ci si chiede sostanzialmente se i due possano, o non, convergere su un accordo politico che duri anche in Parlamento. Se ciò non avvenisse sarebbe palese che l’alleanza, risultata decisiva in occasione del ballottaggio, avrebbe il solo scopo di mandare a casa i peronisti di Sergio Massa. Con sullo sfondo il dramma della ingovernabilità.
Quelli che son certi sono i problemi, specie di tipo finanziario, ma non solo, che sta vivendo l’Argentina. L’inflazione attestata al 142%, il tasso di povertà che supera il 40% e il debito pubblico, che sfiora ormai i 420 mld di dollari, accendono le paure che la moneta locale possa nuovamente, e velocemente, svalutarsi. Col risultato inevitabile che tutti vogliono comprare tutto. Prima che sia tardi.
Sebbene euforico per la vittoria, quello del neo presidente Milei è sembrato un discorso piuttosto limitato nei contenuti, meno pirotecnico e liberista del solito. Poco importa. Perché sono noti, più o meno a tutti, i criteri, e con essi i punti essenziali, del programma salvifico che lo strambo leader intende attuare. Le privatizzazioni sono tra gli obiettivi primari. Oltre che le imprese, riguarderanno anche la scuola e la sanità. Poi c’è la dollarizzazione. Progetto questo ancora più ambizioso. Ed anche audace, in considerazione del fatto che potrebbe intaccare gli equilibri geopolitici mondiali. La Cina di Xi Jinping, per esempio, potrebbe rivedere le politiche commerciali che intercorrono col Paese sud-americano. Al BRICS, di cui la Cina fa parte insieme con le economie mondiali emergenti, aveva chiesto di aderire anche l’Argentina. Ora l’ipotesi potrebbe allontanarsi, e non poco, visto che Javier Milei, senza dubbio filo-americano, sogna addirittura che il dollaro possa sostituire il corso della moneta locale. La visione anti-dollaro della Cina ma anche di Lula in Brasile cozza palesemente col disegno del Presidente argentino che potrebbe alla fine ritrovarsi isolato. Si richiede cautela. Un termine assente nel vocabolario del focoso Javier.