Nate nell’immediato secondo dopoguerra, oggi fatturano l’1% del PIL nazionale. Sono le autentiche regine del settore alimentare, più precisamente di quello dolciario, il vero orgoglio italiano nel mondo. Eppure tra Ferrero e Barilla, da qualche decennio, sembra si stia combattendo una guerra senza esclusione di colpi. Il colosso di Alba e quello di Parma tendono a superarsi vicendevolmente e il più delle volte lo fanno con clamorose invasioni di campo. Il casus belli, per così dire, più eclatante, ma ce ne sono davvero tanti, è quello legato all’olio di palma.
Quando in Italia, siamo nel 2015, dilagò la campagna di boicottaggio del pericoloso ingrediente, a Parma non ci pensarono su due volte etichettando i loro prodotti con la scritta “Senza olio di palma”. Che in pratica poteva ritenersi una preziosa quanto opportuna precisazione alla clientela. Sicuramente lo fu. In effetti c’era dell’altro. Già prima, infatti, Ferrero aveva pensato di irrompere in quello che fino allora era stato il mercato di Barilla, cioè la biscotteria del Mulino Bianco.
A Parma allora non esitarono a cavalcare l’onda, e lo scandalo dell’olio di palma divenne argomento di distinguo nei confronti della diretta concorrente. Barilla voleva apparire, o forse lo era, paladino della salute. Ad Alba quell’operazione fu recepita come uno schiaffo commerciale, quasi una messa al bando. L’annuncio, quasi vendicativo, non tardò ad arrivare. Ferrero avrebbe lanciato i Nutella Biscuits, peraltro apprezzatissimi (in contrasto con l’insuccesso dei Nutella B-Ready che furono l’origine della “tensione”). E ancora, sulla sponda emiliana, piede a tavoletta per produrre la crema Pan di Stelle.
Prodotto dall’ottimo impatto di vendita, ma che ha l’ingrato compito di contrastare l’antagonista Nutella, missione pressoché impossibile. Di botta e risposta, ce ne sarebbero da raccontare. Ma forse è più opportuno soffermarci su alcune considerazioni. Una volta, tra le due famiglie (i Barilla e i Ferrero), c’era quello che potremmo definire in maniera tecnica uno Sweet agreement, un accordo dolce, appunto, c’era la correttezza di non pestarsi i piedi a vicenda. Poi è successo qualcosa, come dicevamo. Quegli incidenti, per così dire, sono frutto anche dei tempi moderni. Che non fanno badare al sottile, sfociando sovente in una concorrenza esasperata, a volte persino sleale. Sta di fatto però che ci sono anche risvolti positivi, eccome se ci sono.
A trarne vantaggi sono di certo proprio i consumatori, destinatari di offerte più ricche e di migliore qualità. Almeno, dovrebbe essere così. Ma anche l’economia del Paese certo non si deprime, se consideriamo che, di base, per fare sempre meglio, fino a superarsi, occorrono anni di studi di mercato, di progetti industriali che richiedono investimenti di rilievo per l’acquisizione di macchinari all’avanguardia. Come quelli occorrenti per la produzione del gelato industriale.
Già, perché i due giganti dell’alimentazione vogliono colpirci con effetti speciali. Da qualche anno si stanno rincorrendo pure nel settore dell’ice cream. Barilla, dando vita a una partnership con Algida di assoluta rilevanza. La produzione sarà affidata al mega stabilimento di Caivano. Cinque milioni di gelati al giorno. Ferrero, con produzione Unilever, è presente già dal 2016. Ma la Nutella, versione gelato, è proprio recentissima.
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