Le tremano le gambe quando le telefona il direttore di Bompiani che le annuncia la pubblicazione del suo romanzo “Come l’arancio amaro”, sin da subito tra i più venduti nelle librerie. E’ un particolare emerso dall’intervista che la scrittrice ha rilasciato al quotidiano “Il Messaggero”.
Milena Palminteri arriva tardi al successo. A settantacinque anni appare piuttosto frastornata, quasi incredula, per l’approvazione che riceve dal lettore al suo primo lavoro. Lei nasce a Palermo, dove trascorre il periodo giovanile. Diventa avvocato ma la sua vita professionale la trascorre quale dirigente in diversi archivi notarili. In quello di Salerno, dove si stabilisce molti anni fa, trova lo spunto per raccontarci una storia in buona parte realmente accaduta. Sarraca nella fantasia della scrittrice, Sciacca sulla cartina della Sicilia, è il posto dove si svolge gran parte della vicenda. In due tempi. Prima gli anni venti, con sullo sfondo il periodo mussoliniano, poi gli anni sessanta.
Ben cuciti con ripetuta alternanza di esposizione. Il romanzo fa leva su un bel po’ di personaggi ma lo spessore maggiore ci viene dalla rappresentazione della donna di quegli anni. Travagliata, sottomessa, mai padrona di scegliersi la vita. Sia in carriera, sia in amore. Sarà così anche per Nardina, una tra le protagoniste, costretta ad arrendersi ai disegni scombinati e utilitaristici di sua madre, nonostante gli studi e i sogni per una vita diversa. Sui progetti di una malvagia Bastiana, la mamma appunto, ruota la trama di quel che accade. Una vicenda che spesso mostra un lato comico.
A volte anche grottesco. Ma che a ben vedere segna e non poco la personalità di tre personaggi. Tutte donne. Nardina in primis, quella che poteva essere la più forte, Sabedda, bella e selvaggia insieme, e poi Carlotta, prima bimba poi, adulta, alla ricerca di una verità, a dir poco, destabilizzante, che la riguarda da vicino e per la quale non si dà pace. Lo “zio”, l’avvocato Peppino Calascibetta, che fieramente si dichiara convinto antifascista, le sarà di sostegno sin da quando era piccola. Prima affettuosissimo, poi in difficoltà quando la nipote diventa grande.
Carlotta, infatti, come la Palminteri, è responsabile dell’archivio notarile di Agrigento. Dove, quasi per caso, scopre di essere stata vittima di uno stratagemma a dir poco sconcertante. C’è tutto per dubitare che Nardina sia davvero sua madre. Zio Peppino, che sa perfettamente come siano andate le cose, proprio non sa come uscire dall’angolo nel quale l’ha relegato l’amata nipote.
Un romanzo insomma che coinvolge e appassiona sin dalle prime battute. Condito al punto giusto di riferimenti storici, quelli del fascismo in particolare. Dei fasci si parla in maniera soffusa visto che, come sostiene la stessa Palminteri, quella fase storica quasi non l’ha toccata, la Sicilia. Preda com’era dei poteri mafiosi. Nel romanzo, uno stile straordinariamente personale.
Un linguaggio estremamente scorrevole, ma non per questo scevro di una attenta e meticolosa ricerca del vocabolo adatto, nel momento giusto. Una ricerca della perfezione che quasi ossessiona. Sarà la stessa autrice ad ammetterlo. Quando dice, con un pizzico di vergogna, per scriverlo ci ho messo cinque anni.